Giulia Fegez, Elena Roccaro e Niccolò Pagni - Se mi fermo forse sono io
08 Settembre 2022 15:30 - 11 Settembre 2022 19:00
Fondamenta del Ponte Longo, 235/A - Giudecca 30133 Venezia VE, Italia
Se mi fermo forse sono io è una conversazione tra due elementi: il volto e il fuoco.
Il volto comunica la volontà di spiccare tra mille altri, il fuoco gli concede la parola
attivando un flusso di voci interiori.
L’opera è pensata come un’installazione audiovisiva strutturata su due grandi schermi affiancati in posizione verticale. Il dialogo che si crea è una continua indagine sull’essere, adeguati o inadeguati, attivi o passivi; è il dolore un male?
Il materiale analizzato e rielaborato proviene dai filmati amatoriali della famiglia Guerra, risalenti all’inizio degli anni ‘80 fino ai primi anni ‘90, quindi in supporto VHS. Si tratta di riprese di memorie ed eventi conviviali, come la nascita dei figli, la prima comunione, le cene in famiglia.
Partendo da questi video tape che rappresentano apparentemente momenti “felici”, la nostra attenzione è caduta su tutte quelle persone non consapevoli di comparire in camera. Volti spesso assorti nei loro pensieri, tradotti in azioni spontanee, non controllate che sono difficili da simulare se si sa di essere ripresi. Parliamo di personaggi secondari che restano un po' nascosti, chi sta dietro la camera non ha come primo intento captare ed immortalare questi volti. Infatti, non sono il soggetto dei video originali, ma appartengono al contorno, a tutte quelle cose che fuggono inosservate.
Il soggetto si presenta come non-protagonista, nel ruolo di comparsa. Il suo stato resta un vuoto interpretabile: è comunque un atto performativo. Ed è proprio questa non presenza sostanziale il soggetto del nostro lavoro.
Abbiamo individuato in questi volti e nelle espressioni una dimensione: uno stato di non ruolo, di non luogo a cui abbiamo restituito uno spazio e un tempo, un valore. I volti dall’ultimo strato della pellicola vengono fatti emergere in primo piano, rendendoli così dei protagonisti.
Il testo che accompagna il video è un collage di estratti di diari personali che affrontano i temi dell’inadeguatezza, della non definizione del sé.
L’intento è quello di dare voce a stati indefiniti, inespressi e talvolta incompresi.
L’opera è pensata come un’installazione audiovisiva strutturata su due grandi schermi affiancati in posizione verticale. Il dialogo che si crea è una continua indagine sull’essere, adeguati o inadeguati, attivi o passivi; è il dolore un male?
Il materiale analizzato e rielaborato proviene dai filmati amatoriali della famiglia Guerra, risalenti all’inizio degli anni ‘80 fino ai primi anni ‘90, quindi in supporto VHS. Si tratta di riprese di memorie ed eventi conviviali, come la nascita dei figli, la prima comunione, le cene in famiglia.
Partendo da questi video tape che rappresentano apparentemente momenti “felici”, la nostra attenzione è caduta su tutte quelle persone non consapevoli di comparire in camera. Volti spesso assorti nei loro pensieri, tradotti in azioni spontanee, non controllate che sono difficili da simulare se si sa di essere ripresi. Parliamo di personaggi secondari che restano un po' nascosti, chi sta dietro la camera non ha come primo intento captare ed immortalare questi volti. Infatti, non sono il soggetto dei video originali, ma appartengono al contorno, a tutte quelle cose che fuggono inosservate.
Il soggetto si presenta come non-protagonista, nel ruolo di comparsa. Il suo stato resta un vuoto interpretabile: è comunque un atto performativo. Ed è proprio questa non presenza sostanziale il soggetto del nostro lavoro.
Abbiamo individuato in questi volti e nelle espressioni una dimensione: uno stato di non ruolo, di non luogo a cui abbiamo restituito uno spazio e un tempo, un valore. I volti dall’ultimo strato della pellicola vengono fatti emergere in primo piano, rendendoli così dei protagonisti.
Il testo che accompagna il video è un collage di estratti di diari personali che affrontano i temi dell’inadeguatezza, della non definizione del sé.
L’intento è quello di dare voce a stati indefiniti, inespressi e talvolta incompresi.